
INDICE
- 1 Introduzione
- 2 Cos'è la protesi di spalla
- 3 La protesi anatomica
- 4 Quanto è utile e necessaria una protesi anatomica di spalla
- 5 Limiti della protesi anatomica
- 6 La protesi inversa di spalla
- 7 Quando è utile e necessaria una protesi inversa
- 8 La protesi inversa di spalla per le fratture dell'omero
- 9 I risultati ottenibili con la protesi inversa
- 10 Protesi inversa di spalla e ritorno allo sport
- 11 Quali sono gli esami da fare per una protesi di spalla?
- 12 Come funziona l'intervento di protesi alla spalla?
- 13 La riabilitazione dopo protesi alla spalla
- 14 Quanto dura una protesi inversa di spalla?
- 15 Quanto dura una protesi anatomica di spalla?
- 16 Quali sono le complicanze della protesi alla spalla?
- 17 La mia esperienza nel trattamento dell'artrosi di spalla
- 18 Bibliografia di riferimento
introduzione
La protesi alla spalla è un intervento di chirurgia ortopedica maggiore che viene eseguito sempre più frequentemente nei casi di artrosi di spalla.
Si tratta di una sostituzione articolare completa, per cui viene sezionato l’osso andando a rimuovere le cartilagini danneggiate dalla malattia. Sui tagli ossei eseguiti si impianteranno quindi delle componenti in materiale metallico ingegnerizzato che si integreranno con lo scheletro, e tra di esse verrà posto un inserto, un ulteriore componente, di materiale plastico progettato per garantire congruenza, scorrevolezza, e ridotto tasso di usura.
L’intervento è solitamente eseguito in anestesia combinata, dura in media 50 minuti, e prevede due giorni di degenza. Consente un ottimo controllo del dolore e un buon recupero del movimento dopo un periodo di riabilitazione di circa 4 mesi.
Cos’è la protesi di spalla
La protesi di spalla è un dispositivo medico che deve essere impiantato chirurgicamente solo da un chirurgo ortopedico specializzato nella chirurgia della spalla. Questo sistema prevede la totale sostituzione dell’articolazione gleno-omerale, rimuovendo sia la testa dell’omero che la superficie contrapposta sulla glena, e il posizionamento tra questi di un elemento di materiale plastico chiamato inserto.
I metalli utilizzati nelle protesi di spalla sono altamente ingegnerizzati, studiati per garantire la migliore compatibilità con lo scheletro e un altissimo tasso di integrazione.
Per quanto riguarda la componente omerale, questa è costituita da una parte interna all’osso dell’omero, indispensabile per la fissazione e la stabilità, che può essere di tre tipi: lo stelo classico, lungo; lo stelo moderno, corto; la corolla o chiglia (protesi senza stelo), ovvero una struttura ampia e molto corta la cui fusione con l’osso avviene esclusivamente nella parte più prossimale, più alta, dell’omero. La differenza tra i tre sistemi sta nell’invasività generale, nelle possibili complicanze successive, e nella differente difficoltà di gestione in caso sia necessaria una rimozione. Questa componente è pressochè sempre in titanio trabecolare, che permette un’integrazione massima e più longeva. La scelta tra un tipo di componente omerale e l’altra è stabilita prevalentemente in funzione della qualità ossea del paziente, tenendo in considerazione anche la gravità della deformità sviluppata dall’artrosi, e non da ultimo le capacità chirurgiche e l’esperienza.
Per quanto riguarda la componente glenoidea, questa è rappresentata da un piccolo disco che viene fissato alla glena tramite un piccolissimo stelo entro la scapola; la fissazione e la stabilità sono poi aumentate tramite il posizionamento di alcune viti. Anche questa componente ha la porzione a diretto contatto con l’osso costituita prevalentemente da titanio trabecolare.
In situazioni particolari, le componenti glenoidea ed omerale possono essere cementate con un cemento specifico per l’osso. Ciò si pratica quando la qualità dei tessuti sia molto compromessa e si abbiano dubbi intraoperatori sulla tenuta generale dell’impianto.
Su entrambe le componenti sarà posizionato un inserto scelto in funzione del tipo di protesi da impiantare (anatomica o inversa) e della stabilità apparente, poiché è un elemento in grado di correggere tanto il posizionamento quanto la stabilità finali di tutto il costrutto. Questo è solitamente costituito da polietilene o metallo, con l’aggiunta di composti quali la vitamina E per l’alto potere antiossidante. L’inserto si accoppia con un’emisfera protesica metallica, ceramizzata, o plastica anch’essa.
La protesi anatomica
La protesi anatomica è così definita perché ripristina esattamente la geometria dell’articolazione originaria. Ciò significa che la componente omerale avrà la porzione finale, articolare, di forma sferica proprio come la testa dell’omero naturale. Sulla componente glenoidea, invece, sarà presente un inserto che rispecchia la forma, l’orientamento, e le curvature, della glena natia.
È un sistema solitamente, ma non esclusivamente, riservato ai pazienti più giovani. Questo perché è fondamentale la presenza di una cuffia dei rotatori ancora sana ed efficace, che come per la spalla sana andrà a rappresentare il “motore” dell’impianto protesico. In caso di piccole lesioni, riparabili e con criteri radiologici fortemente suggestivi di una pronta e valida guarigione, è possibile anche riparare la cuffia dei rotatori dopo aver completato l’impianto, senza comprometterne i risultati finali.
Questo sistema permette un’ottima risoluzione del dolore, e un ottimo recupero del movimento e della forza, proprio perché ripristina sia l’anatomia che la biomeccanica dell’articolazione.
Quando è utile e necessaria una protesi anatomica di spalla
La protesi anatomica di spalla è utile nei casi di artrosi, di frattura, e negli esiti delle fratture. Nello specifico le indicazioni attuali sono:
- Artrosi primaria
- Artrosi secondaria, che può dipendere, ad esempio, dalla cattiva guarigione di alcune fratture, dagli squilibri metabolici innescati dopo numerosi episodi di lussazione di spalla, oppure anche in seguito ad alcuni tipi di interventi
- Necrosi della testa omerale
- Fratture
- Artropatie e artriti, ad esempio l’artrite reumatoide
Per una corretta indicazione, nonché per un corretto funzionamento e quindi per avere il più alto tasso di possibilità di risultati eccellenti, è fondamentale che la cuffia dei rotatori sia integra ed efficace.
Limiti della protesi anatomica
La “finestra terapeutica” per una protesi anatomica, ovvero l’insieme di tutti quei fattori in grado di garantirne beneficio importante e duraturo, è purtroppo molto ridotta.
Affinchè sia efficace si deve ripristinare perfettamente l’anatomia, si devono riequilibrare le forze in gioco garantendo una biomeccanica naturale, l’impianto deve essere tecnicamente possibile e non limitato da gravi deformità date dalle patologie di base, e il paziente deve avere una discreta necessità funzionale, nonché una grande motivazione al recupero che sarà impegnativo. Come è facile ipotizzare, non è sempre possibile soddisfare tutti i criteri e pertanto, per ogni singola indicazione all’impianto, sono descritti uno o più elementi in grado di controindicare in maniera assoluta l’intervento chirurgico. Ad esempio:
- Per tutti i tipi di artrosi, primaria o secondaria, sarà indispensabile valutare la presenza di una deformità ossea. Una glena con un’erosione eccessiva rappresenta una controindicazione alla protesi anatomica, relativa entro certi gradi (che potranno essere corretti con complesse modifiche alla tecnica chirurgica se si ritenga necessario “forzare” l’intervento come nei casi di pazienti molto giovani), o assoluta oltre un determinato limite, rendendo necessario l’uso di una protesi inversa. Impianti anatomici che non rispettino questi dettami si dimostrano, infatti, molto più instabili e soggetti a complicanze, con un aumento di 4 volte della possibilità di lussazione e del 44% di complicanze richiedenti un nuovo intervento maggiore invasivo.
- Tutte le chirurgie pregresse, soprattutto per il trattamento di fratture, possono rappresentare un limite relativo all’uso della protesi anatomica. Questo perché è possibile che si sia sviluppato un marcato sovvertimento dell’anatomia originale, che si siano riassorbiti elementi ossei fondamentali come il grande e il piccolo trocantere (indispensabili per la funzione della cuffia dei rotatori), e in generale perché ogni nuovo intervento è un nuovo insulto sui tessuti molli, e quindi sui tendini e i muscoli, la cui salute è indispensabile per far funzionare la protesi. Per le gravi alterazioni ossee sono comunque disponibili dei sistemi protesici altamente ingegnerizzati che permettono di evitare l’impianto di uno stelo, o di applicare delle componenti create a misura del paziente partendo dalla ricostruzione in TAC.
- Nei casi acuti di frattura dell’omero prossimale, si può ipotizzare l’uso di una anatomica tuttavia la comunità scientifica è a favore della protesi inversa. Il rischio di fallimento molto elevato e la riabilitazione ancora più impegnativa che in un caso “ordinario”, nonché la notevole complessità tecnica, poco si sposano con risultati soddisfacente soprattutto se confrontati con procedure più semplici, veloci, e dal post-operatorio agevolato.
- Nei casi di necrosi della testa omerale e o di artrite reumatoide, non è scontato che il paziente si presenti alla prima osservazione con un danno iniziale o moderato. È frequente che i danni dati dalla malattia di base abbiano portato già un sovvertimento osseo, ma anche dei tessuti tendinei e legamentosi nei casi reumatologici, che non permettono più l’impianto di un’anatomica.
L’intervento di protesi anatomica di spalla è quindi una procedura estremamente delicata, tanto per l’impegno tecnico del chirurgo quanto, ma anche soprattutto, per l’attenzione che il chirurgo deve avere valutando accuratamente ogni singolo aspetto in grado di ridurre il tasso di successo. E’ fondamentale quindi rivolgersi esclusivamente ad un chirurgo il cui focus sia proprio sulla chirurgia della spalla.
La protesi inversa di spalla
La protesi inversa di spalla è il tipo di protesi di spalla più utilizzato. Si chiama “inversa” perché va a creare una nuova anatomia rispetto ad una spalla normale e sana: la testa dell’omero, prima sferica, andrà ad ospitare una componente a forma di coppa, mentre la glena scapolare, prima piatta, andrà ad ospitare una componente di forma sferica.
Gli enormi vantaggi di questo sovvertimento anatomico sono una maggiore stabilità, perché le porzioni di protesi che scorrono l’una sull’altra sono più congruenti, e il movimento post operatorio dato non più dall’insieme dei tendini della cuffia dei rotatori, bensì dall’azione esclusiva del muscolo deltoide. Quest’ultimo aspetto, unitamente al fatto che per l’impianto della protesi non è necessario staccare e riattaccare strutture nobili e soprattutto “funzionali” al recupero di forza e movimento, rendono molto più semplice e veloce sia l’intervento chirurgico che la riabilitazione post-operatoria.
Quando è utile e necessaria una protesi inversa
È utile impiantare una protesi inversa di spalla in tutti quei casi in cui vi sia artrosi, di qualsiasi tipo, e non sia più gestibile la cuffia dei rotatori. Similmente alla protesi anatomica, sono indicazioni per l’inversa:
- Artrosi primaria
- Artrosi secondaria
- Fratture (a 3 o 4 frammenti secondo la classificazione di Neer)
- Esiti di fratture
- Esiti di lussazioni recidivanti
- Necrosi della testa omerale di grado elevato
- Artrite reumatoide e artriti reumatologiche di grado avanzato
Non da ultimo, una protesi inversa viene sempre più spesso impiantata anche nei casi di rottura massiva della cuffia dei rotatori, definita irreparabile, proprio per i vantaggiosi risultati spesso superiori ad altre tecniche, soprattutto nei pazienti con età superiore ai 70 anni.
La protesi inversa di spalla per le fratture della testa omerale
È importante sottolineare alcuni aspetti nei casi di frattura a 3 o 4 frammenti dell’omero prossimale, per le quali è frequente un atteggiamento “conservativo” trattandole chirurgicamente tramite l’uso di placca e viti, con l’obiettivo di ricostruire l’osso salvaguardando l’anatomia.
L’intervento di riduzione e sintesi della frattura di omero prossimale è decisamente delicato, sicuramente utile e da preferire nei pazienti più giovani, ma è caratterizzato da un alto rischio di sviluppare una complicanza chiamata “necrosi della testa omerale”. Questa dipende dalla vascolarizzazione terminale, che possiamo definire unica, e viene spesso compromessa o interrotta dalla frattura stessa. Non essendo più irrorati di sangue, quindi, i frammenti di osso riportati in posizione corretta vanno incontro ad ischemia e successivamente morte e riassorbimento, con il collasso della superficie cartilaginea e la ricomparsa di sintomi invalidanti. Il trattamento di questa complicanza è nuovamente chirurgico, con l’impianto di una protesi.
Tutte le condizioni che possono influenzare la guarigione della frattura devono essere attentamente vagliate prima di stabilire l’indicazione chirurgica più corretta, che non sempre è la ricomposizione della frattura, anzi.
Secondo una review di Lu e collaboratori pubblicata sul Journal of Shoulder and Elbow Surgery nel 2023, è proprio l’impianto di una protesi a fornire i risultati migliori e più riproducibili in caso di frattura dell’omero prossimale, sia da un punto di vista statistico che da un punto di vista clinico di ripresa della funzione e di soddisfazione del paziente. Tali risultati sono ancora migliori quando la protesi venga impiantata da subito rispetto che come secondo intervento, mentre l’impianto “ritardato” si è dimostrato un fattore di rischio indipendente per l’aumento di rischio di complicanze quali necessità di un nuovo intervento e di lussazione protesica.
Evidenze scientifiche simili sono state dimostrate anche da Maier II nello stesso anno, e uno dei risultati più interessanti emerso nei lavori scientifici analizzati è che la protesi inversa può fornire gli stessi identici risultati, ottimi, sia che venga utilizzata per i casi di artropatia da cuffia dei rotatori sia che venga utilizzata nei casi di frattura complessa dell’omero prossimale.
I risultati ottenibili con la protesi inversa
È assodato come una protesi inversa di spalla possa portare ad un netto e consistente miglioramento per quanto riguarda il recupero della funzionalità.
Il movimento attivo è recuperato su tutti i piani, seppure meno intensamente sulle rotazioni, e rimane tale per moltissimi anni dopo l’intervento. A distanza di oltre 10 anni la sopravvivenza, la longevità delle protesi, è ancora ben garantita in quasi tutti i pazienti; rimangono più a rischio i pazienti operati in età più giovane a causa della più intensa attività dopo l’intervento. Da un punto di vista soggettivo, in base ai risultati delle schede a punteggio compilate dai pazienti stessi, si osserva un lieve peggioramento dopo i 10 anni, che tuttavia non è avvertito come “significativo” ed ha ripercussioni marginali sulla funzione generale della spalla operata.
Entrando più nello specifico, ho pubblicato nel 2024, insieme al mio primario dr. Roberto Castricini e alla nostra equipe di ricerca, i risultati ottenuti a distanza di 12 anni dall’impianto di protesi inversa di spalla. Riassumendoli si possono definire buoni/eccellenti per tutti i pazienti rivalutati. Rispetto alla condizione di partenza abbiamo ottenuto:
- Marcato miglioramento del movimento, su tutti i piani, quasi sovrapponibile ai valori di una spalla normale non operata
- Marcato miglioramento nei punteggi riferiti al dolore, alla capacità di assolvere alle comuni attività quotidiane, e alla forza esercitabile con l’arto operato
- Nessuna differenza statistica o clinica tra quanto riscontrato dopo 12 anni, e quanto ottenuto ad un controllo precedente a 5 anni sullo stesso gruppo di pazienti. Ciò significa che i risultati ottenuti dopo una protesi inversa di spalla estremamente validi nel breve termine e si mantengono tali negli anni successivi finanche a 12 anni
Protesi inversa di spalla e ritorno allo sport
Anche il ritorno allo sport è possibile dopo l’impianto di una protesi inversa di spalla. Questo aspetto è stato sindacato da diversi autori che con le loro ricerche hanno dimostrato quanto sia proprio questo tipo di protesi a fornire i migliori tassi di soddisfazione nel paziente sportivo e a permettere una maggiore abilità durante alcuni gesti specifici, rispetto ad altri design.
E’ stato poi dimostrato come non solo il ritorno allo sport sia possibile, ma sia anche frequente e il livello di intensità sportiva subisce minime ripercussioni dopo un intervento correttamente indicato e soprattutto ben riabilitato. Il ritorno allo sport è comunque superiore nei pazienti in buona forma fisica generale, con basso BMI (indice di massa corporea), e operati per diagnosi di “artropatia da cuffia dei rotatori” o “rottura massiva irreparabile della cuffia dei rotatori”.
Tendenzialmente, si stima una ripresa delle precedenti attività sportive a circa 9 mesi dall’intervento.
Quali sono gli esami da fare per una protesi di spalla?
Per una corretta decisione chirurgica è indispensabile avere:
- Radiografie della spalla, che serviranno ad identificare e stadiare l’artrosi gleno omerale
- Risonanza magnetica della spalla, che permetterà di caratterizzare la qualità della cartilagine residua, dell’osso sottostante, e soprattutto dei tendini della cuffia dei rotatori
- TC della spalla con ricostruzione 3D, indispensabile per pianificare l’impianto della protesi, ovvero per sapere da prima quali angoli correggere, come correggerli, quali componenti e di che dimensioni utilizzare, e come combinare tra loro queste informazioni preliminari per poter garantire i tassi di successo più alti e recuperare pienamente la funzione della spalla.
Come funziona l’intervento di protesi alla spalla?
La protesi di spalla si impianta solitamente in anestesia generale, con il paziente in una posizione semi-seduta chiamata “Beach Chair”.
L’accesso chirurgico, l’incisione, è anteriore e obliqua: lunga approssimativamente 10 cm corre davanti al braccio passando in prossimità dell’ascella.
Incisa la cute si apre la fascia brachiale (superficiale) esponendo i muscoli. Nella porzione più superiore si identifica la separazione delle masse muscolari e una vena “di riferimento” chiamata vena cefalica. Isolandola e spostandola lateralmente, spesso anche legandola per evitare sanguinamenti eccessivi (una chiusura chirurgica completamente innocua), si scollano i tessuti per aprire lo spazio tra il muscolo deltoide e i congiunti, così da esporre le strutture più profonde e l’omero.
La testa omerale si libera dai residui della cuffia dei rotatori (se si impianta una protesi inversa) o si svincola disinserendo la cuffia in maniera molto cauta e precisa (se si impianta una protesi anatomica). A questo punto si pratica un taglio osseo secondo un angolo ben preciso e si rimuova la porzione di testa omerale che verrà sostituita. L’omero viene delicatamente spostato con degli strumentari dedicati, così da poter lavorare sulla porzione glenoidea.
Dalla glena viene rimosso il cercine e la capsula articolare su tutta la circonferenza; successivamente si si fresa la sua superficie con un’angolazione e un’intensità ben precisa. A questo punto è possibile praticare il foro di alloggiamento del fittone (il piccolo stelo) della protesi di glena, che verrà impiantata subito dopo e stabilizzata con un numero adeguato di viti ad alta tenuta. La lavorazione glenoidea termina con l’applicazione della cosiddetta “glenosfera” (nel caso di una protesi inversa) o dell’inserto glenoideo (nel caso della protesi anatomica).
Si completa infine la lavorazione dell’omero. Nei casi in cui si decida di impiantare uno stelo si va a preparare il canale midollare con delle brocce, delle raspe di forma simile alla protesi e di dimensioni crescenti, fino a ottenere una tenuta valida, quindi si posizionano le componenti di prova e si eseguono alcuni gesti specifici che permettono di determinare la tenuta di tutto l’impianto e le sue capacità di movimento finale. Si eseguono le modifiche ritenute necessarie fino a ottenere il risultato ottimale, e si posizionano le componenti definitive. Oltre alla parte metallica, l’omero presenterà poi un ulteriore componente articolare, di scorrimento, che sarà concavo nel caso di una protesi inversa, o convesso (sferico) nel caso di una protesi anatomica.
Per le protesi inverse, l’intervento termina qui con la chiusura dei tessuti molli e della cute. Per le protesi anatomiche sono previsti ancora altri passaggi utili a ricostruire in maniera completa la cuffia dei rotatori disinserita in precedenza. Questa sarà stabilmente reinserita sull’osso protesizzato per garantirne il movimento e la forza.
In entrambi i casi non viene più applicato alcun drenaggio post-operatorio per i sanguinamenti, ma pratico una maniacale emostasi e mi avvalgo di alcuni presidi farmacologici che mi permettono, simultaneamente, di ridurre ulteriormente i sanguinamenti evidenti ed occulti, l’intensità del dolore post-operatorio, e di conseguenza di agevolare il periodo immediatamente successivo all’intervento.
La riabilitazione dopo protesi alla spalla
Il percorso riabilitativo è differente, per principi, attenzioni, e tempistiche, che si sia impiantata una protesi anatomica o una protesi inversa di spalla.
Dopo una protesi anatomica è indispensabile un periodo di immobilizzazione dell’articolazione con un tutore. Questa fase dura 4 settimane almeno ed è indispensabile per permettere l’integrazione dei tendini della cuffia dei rotatori riparati sull’osso. Sarà concesso solamente di muovere il gomito e il polso per evitare la loro rigidità secondaria. Tolto il tutore si potrà iniziare una riabilitazione passiva e attiva, sempre assistita dal fisioterapista di fiducia, con l’obiettivo di recuperare il movimento, renderlo nuovamente completo e fisiologico, ridurre o eliminare i cosiddetti meccanismi di compenso, e riequilibrare il movimento della scapola rispetto al torace. Questa fase dura almeno 2 mesi, ed oltre ai suddetti obiettivi, è anche propedeutica alla riorganizzazione della struttura fibrillare dei tendini riparati, che solo al termine di questo periodo saranno pronti per esercitare degli sforzi maggiori e quindi permettere il recupero della forza muscolare. In tutto, dopo una protesi anatomica sono da considerarsi 4-5 mesi di riabilitazione.
La riabilitazione dopo una protesi inversa di spalla, invece, è notevolmente più agevole. Il periodo di immobilizzazione è variabile da chirurgo a chirurgo, in funzione di cosa si va a riparare dopo l’impianto della protesi. Ad esempio, alcuni chirurghi sono soliti reinserire all’osso il tendine del muscolo sottoscapolare perché le prime evidenze ritenevano questo gesto utile a migliorare la stabilità della protesi. Si è visto successivamente invece, che la stabilità è data quasi esclusivamente dalla protesi stessa e dal suo design (più congruente di una protesi anatomica), e che la presenza o meno del tendine sottoscapolare non ha in realtà influenza sulla stabilità. Supportato da queste più attuali e concrete evidenze, nella mia pratica non reinserisco mai il sottoscapolare. Ciò permette ai miei pazienti di ridurre il periodo di immobilizzazione in tutore (10-20 giorni) e accelerare il recupero funzionale. Finchè si usa il tutore si potrà comunque muovere liberamente il gomito, il polso, e la mano per evitare che si irrigidiscano. Altro vantaggio è che attività banali come il vestirsi autonomamente diventano possibili già dai primi giorni. Con questo mio approccio, inoltre, anche il dolore solitamente avvertito nel primo periodo post intervento è ridotto proprio perché il tendine non viene riparato. La riabilitazione “vera e propria” può iniziare già alla rimozione del tutore, recuperando il cosiddetto ritmo scapolo-toracico, il movimento, e potenziando da subito la muscolatura secondaria della spalla che, ora con la protesi inversa, sarà il “motore principale”, in primis il deltoide. In tutto, dopo una protesi inversa di spalla si riottiene la propria indipendenza e una buona soddisfazione dopo circa 2-3 mesi, ma il miglioramento sarà progressivo nei 2 anni successivi all’impianto.
Quanto dura una protesi inversa di spalla?
La ricerca ortopedica è pressochè concorde che una protesi inversa di spalla ottiene una notevole sopravvivenza, quindi una longevità, una durata efficace, per decenni. Il tasso di sopravvivenza riportato già dal 2006 almeno è superiore al 90% dopo 10 anni dall’impianto, ancor migliore quando la protesi sia stata posizionata in elezione (artrosi, “cuff tear arthropathy”, necrosi, rottura massiva della cuffia dei rotatori) che su frattura o esiti di frattura.
Lo studio riguardante la nostra personale casistica, pubblicata nel 2024, dimostra un successo ancora maggiore a 12 anni di distanza. Si sono presentate solo complicanze minori, prettamente radiologiche, senza risvolti clinici avvertiti dal paziente. Pertanto, il tasso di soddisfazione rimane alto, e in assenza di complicanze gravi è ragionevole considerare che una protesi inversa di spalla possa durare anche 20 anni e oltre nella maggior parte dei pazienti.
H2 Quanto dura una protesi anatomica di spalla?
La protesi anatomica di spalla ha un’ottima durata, anche questa stimabile sull’ordine dei 10-20 anni se non si verifichino complicanze significative, e come abbiamo già detto può portare ad una funzionalità superiore rispetto ad una inversa. Tuttavia vanno sottolineati alcuni aspetti che minano questa longevità:
• Il successo di una protesi anatomica si basa sulla contestuale riparazione della cuffia dei rotatori, e soprattutto sulla sua guarigione. Ciò non toglie, però, che negli anni successivi possa svilupparsi una patologia della cuffia in grado di minarne il successo: infiammazione ricorrente, rotture traumatiche, rotture degenerative parziali o complete. Questi eventi, proprio come in una spalla sana, andranno a sviluppare dei sintomi negativi decretando il fallimento della protesi e la necessità di una nuova chirurgia
• La protesi anatomica è solitamente impiantata in pazienti più giovani (perché solitamente dotati di una cuffia efficace e riparabile). Ciò significa che sarà sottoposta a sforzi maggiori, perché il giovane ha più richieste funzionali, e sarà esposta per più tempo alla possibilità di sviluppare complicanze, perché logicamente il giovane ha un’aspettativa di vita maggiore.
Quindi, se pur per certi versi “migliore della protesi inversa”, la protesi anatomica di spalla è una protesi decisamente più delicata, la cui durata dipende tanto da una corretta indicazione, quanto da una precisa tecnica chirurgica, quanto da fattori biologici (non controllabili, come le malattie associate – diabete, patologie del circolo capillare ecc) e da fattori funzionali (gli sforzi quotidiani, a casa, a lavoro, nello sport e negli hobby) specifici per ogni singolo paziente.
Quanto dura una protesi anatomica di spalla?
La protesi anatomica di spalla ha un’ottima durata, anche questa stimabile sull’ordine dei 10-20 anni se non si verifichino complicanze significative, e come abbiamo già detto può portare ad una funzionalità superiore rispetto ad una inversa.
Tuttavia vanno sottolineati alcuni aspetti che minano questa longevità:
- Il successo di una protesi anatomica si basa sulla contestuale riparazione della cuffia dei rotatori, e soprattutto sulla sua guarigione. Ciò non toglie, però, che negli anni successivi possa svilupparsi una patologia della cuffia in grado di minarne il successo: infiammazione ricorrente, rotture traumatiche, rotture degenerative parziali o complete. Questi eventi, proprio come in una spalla sana, andranno a sviluppare dei sintomi negativi decretando il fallimento della protesi e la necessità di una nuova chirurgia
- La protesi anatomica è solitamente impiantata in pazienti più giovani (perché solitamente dotati di una cuffia efficace e riparabile). Ciò significa che sarà sottoposta a sforzi maggiori, perché il giovane ha più richieste funzionali, e sarà esposta per più tempo alla possibilità di sviluppare complicanze, perché logicamente il giovane ha un’aspettativa di vita maggiore.
Quindi, se pur per certi versi “migliore della protesi inversa”, la protesi anatomica di spalla è una protesi decisamente più delicata, la cui durata dipende tanto da una corretta indicazione, quanto da una precisa tecnica chirurgica, quanto da fattori biologici (non controllabili, come le malattie associate – diabete, patologie del circolo capillare ecc) e da fattori funzionali (gli sforzi quotidiani, a casa, a lavoro, nello sport e negli hobby) specifici per ogni singolo paziente.
Quali sono le complicanze della protesi alla spalla
Le complicanze di una protesi di spalla sono diverse, comuni tra un design anatomico e uno inverso seppure con frequenza e incidenza diverse. Si tratta di eventi sicuramente spiacevoli, ma che purtroppo esistono e vanno conosciuti dal paziente in procinto di affrontare queste chirurgie perchè spesso richiedono ulteriori interventi per essere risolte.
Sono eventi che nella quasi totalità dei casi hanno una causa fortuita, non prevedibile. Va ricordato bene, però, che l’incidenza globale è molto molto bassa, sull’ordine del 10% scarso considerandole nell’insieme e spalmate sul medio termine.
Il tasso di soddisfazione dopo una chirurgia di sostituzione protesica della spalla è alto, spesso superiore al 90% negli studi con casistiche rivalutate a distanza di molti anni.
Di seguito riporto quelle che, per il trattamento richiesto, ritengo le più importanti:
- Infezione della protesi di spalla. L’infezione protesica è una complicanza grave e complessa da trattare. Si sviluppa in seguito alla contaminazione della protesi con un agente batterico che può essere diretta, come nel caso delle infezioni nosocomiali, o indiretta, come per quelle infezioni che si sviluppano a distanza di tempo per le quali il battere, che si raccoglie anche in organi diversi, attraverso il sangue raggiunge l’osso e quindi la protesi. Sulla protesi questo riesce ad “isolarsi” dall’organismo sviluppando un biofilm protettivo, motivo per il quale l’eradicazione dell’infezione diventa complessa. Sarà necessario infatti eseguire diversi esami per riuscire ad identificare e isolare il battere, quindi rimuovere la protesi che verrà sostituita con uno spaziatore di cemento e antibiotico specifico, e si dovrà praticare una terapia antibiotica orale o endovena mirata per alcuni mesi. Quando l’infezione sarà considerata risolta, e gli esami di laboratorio sosterranno questa conclusione, si potrà procedere ad un secondo intervento in cui si impianta la nuova protesi definitiva, che sarà più invasiva della prima. Il rischio infettivo è generalmente molto basso, soprattutto grazie alle procedure di sterilità e alla profilassi antibiotica preoperatoria (2gr di Cefazolina, endovena, 30 minuti prima di incidere, secondo linee guida SIOT), tuttavia non è mai lo zero assoluto e rimane presente per tutta la vita.
- Instabilità della protesi (lussazione). Con instabilità di spalla si intende La perdita dei rapporti articolari tra le componenti protesiche, quindi la spalla si lussa ed esce fuori dalla sua sede. Questa condizione può dipendere da una serie di cause tra cui la presenza di una infezione non ancora diagnosticata, oppure dal fallimento di una delle due componenti articolari, oppure ancora si può sviluppare in seguito ad un trauma. Il rischio che la protesi di spalla si lussi è basso e quasi esclusivamente limitato ai due anni successivi all’intervento. La risoluzione è prevalentemente chirurgica attraverso un intervento di revisione della protesi di spalla in cui si va a correggere la causa alla base dell’instabilità.
- Mobilizzazione asettica. Rappresenta quella condizione per le quali le componenti metalliche a contatto con l’osso perdono le loro connessioni e si mobilizzano, si scollano. Si può sviluppare per la rottura delle viti poste ad esempio sulla glena, oppure in seguito a delle sollecitazioni eccessive ripetute nel tempo, oppure per mancato attecchimento della componente all’osso. Anche in questo caso la probabilità di comparsa della complicanza è bassa e per correggere e risolvere il problema bisogna intervenire con una chirurgia di revisione delle componenti metalliche
- Fratture. Il rischio di frattura dopo una protesi e invece casuale e necessita di un trauma efficace per potersi sviluppare. È sicuramente più frequente sul versante omerale, soprattutto in quei casi in cui siano stati impiantate degli steli lunghi e di vecchia generazione, e questo perché con il trauma si può sviluppare una leva eccessiva tra la punta dello stelo e l’osso che, possedendo delle elasticità diverse, comporteranno lo sviluppo di una frattura periprotesica. Necessariamente il trattamento è chirurgico, preferendo la stabilizzazione della frattura e il mantenimento in sede delle componenti della protesi tutte le volte che sia possibile, oppure la revisione completa in cui le componenti della protesi vengono sostituite con altre leggermente più invasive e più stabili che a loro volta stabilizzeranno anche la frattura.
- Dolore persistente. Il dolore persistente dopo una protesi di spalla è una complicanza imprevedibile e di causa quasi sempre ignota. Può essere di natura ossea o muscolo tendinea e viene normalmente gestito tramite accorgimenti del percorso riabilitativo e l’uso di farmaci antidolorifici o antinfiammatori. Anche questa complicanza si presenta con una bassa probabilità, anzi, l’impianto di una protesi inversa di spalla ha solitamente un ottimo controllo del dolore articolare.
La mia esperienza nel trattamento dell’artrosi di spalla
L’impianto di protesi della spalla è sempre stato per me molto affascinante e non ho perso occasione per ampliare le mie competenze sin dagli albori del mio approccio all’ortopedia elettiva.
Ho frequentato numerosissimi corsi dedicati organizzati dalle società superspecialistiche europee, ed ho affiancato chirurghi specializzati nell’impianto di protesi di spalla dagli alti volumi operatori, nonché frequenti corsi su cadavere.
Con il crescere delle mie competente e capacità chirurgiche, sono passato da essere discente a relazionare e partecipare come insegnante. Tra le partecipazioni più significative:
- Focus On: la spalla degenerativa. Ruolo: tutor in sala chirurgica
- Shoulder Replacement Academy SIAGASCOT. Ruolo: tutor in sala chirurgica
- La protesi inversa di spalla: evidence based medicine. Lezione per il Master di II livello UniCamillus/SICSeG. Ruolo: relatore
- Valutazione clinica e radiografica a lungo termine e confronto con i risultati a medio termine di una coorte di pazienti sottoposti a sostituzione protesica inversa di spalla. Presentazione per il 3° Annual Meeting SIAGASCOT
- Le indicazioni alla protesi anatomica nel 2023. Presentazione congressuale
Partecipo attivamente a circa 200 sostituzioni protesiche di spalla l’anno, di cui 50 circa da primo operatore.
Infine, ho raccolto i risultati della mia casistica, insieme a quelle del mio capo e mentore Roberto Castricini, in un articolo scientifico pubblicato su rivista internazionale, impattata e indicizzata su PubMed:
Bibliografia di riferimento
Questo articolo originale è stato redatto riassumendo la mia esperienza, la mia visione, e la più recente bibliografia scientifica di riferimento.
Di seguito i link per approfondire le fonti di questa pagina:
- Current trends in shoulder arthrosplasty – Are trends baked by evidence? Shields DW, Sewpaul Y, Sandeep KN, Atherton CM, Goffin J, Rashid MS. J Clin Orthop Trauma. 2024, dec, 27;62102897 https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/39872122/
- Does tranexamic acid improve early postoperative shoulder motion after total shoulder arthroplasty? Wright LT, Cueto RJ, Hao KA, Popp R, Hartman JB, Hones KM, Wright JO, Wright TW, Farmer KW, LaMonica TJ, Schoch BS, King JJ. J Am Acad Orthop Surg. 2025, feb, 15;33(4):e234-243 https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/39602627/
- Whether the indications for reverse shoulder arthroplasty should continue to be expanded? A systematic review and meta-analysis. Li H, Bao H, Yang Z, Hu B, Pan Y, Wang Y, Chen J, Chen H, Shen B, Zou Y. Orthop Surg 2025. Feb;17(2):313-332 https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/39667948/
- Postoperative revision, complication and economic outcomes of patients with reverse or anatomic total shoulder arthroplasty at one year: a retrospective, United States hospital billing database analysis. Corso KA, Smith CE, Vanderkarr MF, Debnath R, Goldstein LJ, Varughese B, Wood J, Chalmers PN, Putnam M. J Shoulder Elbow Surg. 2025 feb; 34(2):e59-e71 https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/38944376/
- Anatomic total shoulder arthroplasty for posteriorly eccentric and concentric osteoarthritis: a comparison at a minimum 5-years follow-up. J Shoulder Elbow Surg. 2025 feb;34(2):473-483 https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/38908465/
- Complications in shoulder arthroplasty: why do they happen and how to manage them. Bishop JY, Cvetanovic GL, Lderman ES, Lubitz M, Edwards S, Anakwenze O. Instr Course Lect 2025;74:3-18 https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/39745546/
- Reverse shoulder arthroplasty: state-of-the-art. Franceschi F, Giovannetti de Sanctis E, Gupta A, Athwal GS, Di Giacomo G. J Isakos. 2023 oct;8(5):306-317 https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/37301479/
- Outcomes of acute vs. delayed reverse shoulder arthroplasty for proximal humerus fractures in the elderly: a systematic review and meta-analysis. Lu V, Jegatheesan V, Patel D, Domos P. J Shoulder Elbow Surg 2023 aug;32(8):1728-1739 https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/37024039/
- Long-term outcomes of reverse total shoulder arthroplasty: a follow-up of a previous study. Bacle G, Novè-Josserand L, Garaud P, Walch G. JBJS 2017 mar 15;99(6):454-461. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/28291177/
- Clinical outcomes are unchanged after a mean 12 years after reverse shoulder arthroplasty: a long-term re-evaluation. Castricini R, Galasso O, Mercurio M, Dei Giudici L, Massarini A, De Gori M, Castioni D, Gasparini G. JSES Int 2023 nov 7;8(1):185-190 https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/38312267/
- Stemmed vs stemless total shoulder arthroplasty: a systematic review and meta-analysis. Schoweger F, Oldrini LM, Feltri P, Filardo G, Candrian C. Arch Orthop Trauma Surg 2024 dec 12;145(1):3 https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/39666012/