Nuova tecnica di rigenerazione della cartilagine del ginocchio: Autocart

Nuova tecnica di rigenerazione della cartilagine del ginocchio: Autocart
Questo articolo affronta una nuovissima tecnica chirurgica mininvasiva che permette la rigenerazione cartilaginea per i casi di difetti condrali e osteocondrali e per l’osteocondrite dissecante del ginocchio.
CARTILAGINE: BASI PER LA RIGENERAZIONE
Nonostante il progresso e il susseguirsi di numerose tecniche chirurgiche, finora il tessuto che va a formarsi dopo un trattamento cartilagineo non corrisponde alla cosiddetta cartilaginea ialina vera e propria ma ad una fibrocartilagine. E ad una diversa struttura e composizione corrispondono proprietà biologiche e meccaniche di qualità inferiore rispetto a quanto progettato da Madre Natura. In alcuni casi, quindi, ciò si traduce in persistenza di sintomi come dolore occasionale e limitazione delle attività.
Un trattamento ideale per le lesioni della cartilagine, che permetta di ottenere un tessuto di riparazione di qualità superiore e quanto più possibile simile alla cartilagine ialina originaria, però, deve rispettare quella che si chiama “Triade Rigenerativa”. Questa corrisponde ad un insieme di 3 elementi indispensabili per la formazione ottimale dei tessuti, che sono:
- I protagonisti principali del tessuto da riparare. Per la cartilagine questi sono i condrociti. Si tratta di cellule estremamente selezionate e differenziate, uniche nel loro genere. L’altissima specializzazione comporta però un lentissimo ricambio cellulare e un basso tasso rigenerativo intrinseco. Quindi, non potendosi differenziare da cellule simili già residenti nel tessuto sano prossimo alla lesione, devono essere aggiunte dall’esterno. Inizialmente, come con la tecnica ACI, si ovviava a questo problema fisiologico tramite l’espansione colturale in laboratorio. Venivano cioè prelevate cellule cartilaginee sane dal paziente, in un primo intervento chirurgico, e inviate in un laboratorio sterile per aumentarne il numero. Dopo alcune settimane, con un secondo intervento, venivano reimpiantate nella lesione articolare da trattare e stabilizzate con una membrana o uno scaffold. L’evoluzione di questa tecnica ha permesso di ridurre la procedura ad un singolo intervento chirurgico, sfruttando però delle cellule diverse e meno differenziate, ma di tipo staminale, quindi in grado di specializzarsi nel tessuto cartilagineo quando sottoposte agli opportuni stimoli e condizioni.
- L’impalcatura su cui far crescere il nuovo tessuto. La cartilagine svolge la sua funzione anche grazie ad una struttura tridimensionale di fibre collagene ben organizzata. Questa, per ottenere un tessuto di riparazione valido e funzionale deve necessariamente essere riprodotta. I tentativi sono stati numerosi ed hanno portato alla produzione di matrici sintetiche (simili a spugne) di fattezze e materiali diverse da impiantare nel difetto cartilagineo, per essere poi imbevute di cellule, sia esterne dopo l’espansione in laboratorio, sia interne derivate dal sangue midollare. I ritrovati più recenti dell’ingegneria tissutale hanno sviluppato nuovi scaffold di più facile posizionamento, come gli hydrogel e i concentrati plasmatici, che ne favoriscono l’applicazione con tecniche mininvasive.
- Fattori di crescita. Il concime per una buona rigenerazione. Si tratta di molecole particolari che, unitamente agli stimoli meccanici ricevuti dall’ambiente articolare, vanno a promuovere la crescita delle cellule che sono state impiantate, a regolarne l’attività, e a guidarne l’organizzazione all’interno dello scaffold. Sono quindi dei composti che agiscono come guida e come nutrimento vero e proprio per il nuovo tessuto, affinchè sia identico (o quanto più simile possibile) a quello della sede da riparare. Allo stesso modo, quando si utilizzano tecniche di riparazione cartilaginea che sfruttano cellule staminali meno differenziate, i fattori di crescita sono tra i protagonisti principali della differenziazione da cellula staminale a cellula cartilaginea.
- Lesioni condrali/osteocondrali traumatiche. Ovvero quei difetti in cui, a seguito di un trauma, si verifica il distacco di una porzione di superficie articolare fatta di cartilagine o di cartilagine e l’osso sottostante. Quello che può volgarmente intendersi come un “buco” sulla superficie dell’articolazione
- Osteocondrite dissecante. Ovvero una malattia, anche nota come Morbo di König, ad eziologia ancora poco chiara (forse microtraumatica), che porta allo sviluppo di un’area di necrosi lenticolare di dimensioni variabili sulla superficie articolare. Seguendo diverse fasi, questa zona di necrosi va incontro a separazione, prima, e instabilità con distacco del frammento lenticolare, poi.
- Superiore possibilità di guarigione senza esiti, data dal rispetto della “Triade Rigenerativa” e dalla formazione di cartilagine ialina articolare
- Uso di “materiale impiantato” derivante esclusivamente dal paziente stesso, quindi senza possibilità di rigetto o mancato attecchimento
- Mininvasività, poiché è facilmente eseguibile in artroscopia, e richiede un accesso limitato nei casi in cui è necessario un approccio a cielo aperto
- Velocità e facilità di esecuzione, riducendo le possibilità di errore manuale
- Possibilità di esecuzione anche in caso di riscontro accidentale di una lesione osteocondrale durante altra procedura
- Un’eccessiva crescita del tessuto di riparazione
- La lunga riabilitazione
- Un fallimento biologico con generazione di tessuto fibroso/fibrocartilagineo
- L’incompleto riempimento del difetto osteocondrale
- Una possibile morbidità nel sito di prelievo
- Una possibile riduzione della qualità dei risultati nei pazienti di età più avanzata
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