Le lesioni della cuffia dei rotatori

Le lesioni della cuffia dei rotatori
La lesione della cuffia dei rotatori è una delle più frequenti cause di dolore alla spalla, che negli USA coinvolge circa 2 milioni di persone. Oltre al dolore provoca un indebolimento progressivo e una disabilità che limita le attività quotidiane, come, ad esempio, pettinarsi i capelli, allacciarsi il reggiseno, o portare un bicchiere alla bocca.
Qualora il vostro mostro medico vi abbia diagnosticato una lesione della cuffia dei rotatori, questo articola vi fornirà informazioni accessibili per comprenderne le cause, i sintomi, i tipi di trattamento, e i risultati da aspettarsi.
L’articolazione della spalla, la gleno-omerale, è formata dalla testa dell’omero (l’osso lungo del braccio), da una porzione di scapola che si chiama glena, e dalla clavicola. La stabilità è fornita da una sorta di guarnizione sulla glena (il cercine o labbro glenoideo), da un insieme di legamenti, e dai tendini di quattro muscoli che nel loro complesso sono noti come cuffia dei rotatori. Questi tendini sono, da anteriore a posteriore, il tendine del muscolo sottoscapolare, del sovraspinoso, del sottospinoso, e del piccolo rotondo. A favorire lo scorrimento tra i bordi ossei e la cuffia dei rotatori si trova, interposta, una struttura nota come borsa subacromiale. La cuffia, che origina dalla scapola e si inserisce sulla testa dell’omero, ha la funzione di sollevare e ruotare il braccio.
Le lesioni della cuffia dei rotatori possono essere di tipo parziale, quindi non complete e sviluppate sul versante superiore (parziale bursale) o sul versante inferiore (parziale articolare), oppure di tipo completo, una lacerazione che interessa tutto lo spessore. Il meccanismo che porta a rottura uno di questi tendini può essere traumatico (cadendo sul braccio, o sollevando qualcosa di molto pesante), oppure più frequentemente di tipo degenerativo. Le lesioni degenerative, più frequenti all’avanzare dell’età, sono causate da movimenti ripetuti sopra la testa, e da un ridotto afflusso di sangue (già inferiore per il tipo di irrorazione specifica di questi tendini rispetto ad altri, e ridotto maggiormente da malattie sistemiche).
Si trovano a più alto rischio di sviluppare queste lesioni: persone sopra i 50 anni; chi, per lavoro o per sport, solleva pesi ripetutamente oltre il livello della spalla, e chi tali pesi li solleva oltre il livello della spalla e dietro la testa.
Sono sintomi tipici:
• Il dolore. Compare inizialmente durante le attività, soprattutto le rotazioni, per poi essere presente anche a riposo, e infine anche di notte
• La limitazione progressiva del movimento (che può eventualmente essere poco disabilitante quando la spalla sia ancora “equilibrata” nonostante la lesione)
• Sensazione di scatti, scrosci, e “rumori”, durante il movimento
La diagnosi di lesione della cuffia dei rotatori è basata, principalmente, su di una buona discussione con il proprio ortopedico riguardo le problematiche avvertite, e sul suo conseguente esame obiettivo. La valutazione riguarderà il movimento eseguibile dal paziente senza avvertire dolore, quello permesso dall’articolazione mossa dall’ortopedico, e la forza. Seguono quindi dei test funzionali specifici per i singoli tendini, che in buone mani permettono la caratterizzazione completa della lesione. Gli esami radiologici risultano, comunque, indispensabili. Per una problematica alla spalla, le RX sono fondamentali per escludere patologie ossee concomitanti, e nei casi più gravi possono fornire informazioni indirette sullo stato della lesione della cuffia dei rotatori. La RM (Risonanza Magnetica), invece, permette la conferma della condizione osservata con la visita, lo stato delle altre strutture articolari e non, e soprattutto permette di definire se la lesione sia riparabile oppure no, e quale sarà l’esito più plausibile di un determinato trattamento.
Il trattamento di una lesione della cuffia dei rotatori può essere conservativo (non chirurgico) oppure chirurgico. L’approccio migliore verrà consigliato dall’ortopedico sulla base della storia, della visita, degli esami eseguiti, delle caratteristiche anagrafiche, professionali, e ricreative del paziente, e in base alle sue aspettative.
Il trattamento conservativo serve a migliorare la sintomatologia avvertita dal paziente, ma non permette il recupero della forza. Si avvale di riposo, eliminazione di quelle attività che causano dolore, antinfiammatori, fisioterapia (soprattutto in acqua), ed eventuali infiltrazioni di cortisonici. Se da un lato evita i rischi connessi con l’intervento, dall’altro va sottolineato che non porta al recupero della forza, non porta necessariamente al recupero delle attività che si svolgevano in precedenza, e può favorire il peggioramento della lesione.
Il trattamento chirurgico viene preso in considerazione al fallimento di un approccio conservativo, in presenza di dolore continuo, e in condizioni particolari come le lesioni traumatiche, quelle in pazienti giovani, e quelle che altrimenti diventerebbero con ragionevole certezza non più riparabili. L’intervento, che può essere a cielo aperto o in artroscopia, consiste nel rimuovere bordo di tendine sfrangiato o degenerato, e inserire nuovamente il tendine sull’omero nella sua inserzione anatomica. La fissazione avviene con delle ancore di vari materiali, da cui si dipartono dei fili di sutura ad alta resistenza che verranno fatti passare entro il tendine. Così facendo vengono fornite al paziente tutte le condizioni per le quali la biologia possa creare un tessuto di riparazione valido ed efficace. Poiché è questo tessuto, e non i fili di sutura, a determinare la buona riuscita della riparazione, la spalla deve essere immobilizzata e protetta per tutto il tempo necessario.
Nel caso di lesioni parziali o lesioni molto complesse, invece, la chirurgia varierà da casa a caso; si andrà da una più semplice rimozione meccanica della lesione, ad una riparazione detta “funzionale” che, pur non riparando completamente la lesione riporterà la spalla ad essere equilibrata e funzionale, ad una riparazione completamente sovrapponibile a quella eseguita nei casi di rotture complete.
In quasi tutti gli scenari possibili, un ulteriore tendine, il tendine del capo lungo del bicipite, verrà sezionato volontariamente e non riparato. Questa procedura (tenotomia del bicipite) viene praticata in quanto il tendine in questione è spesso degenerato, è causa di infiammazioni ricorrenti molto dolorose, e ha un’influenza marginale sulla forza del braccio (fino ad un massimo del 10% in flessione). In alcune casi eccezionali (lavoratori pesanti, pazienti molto giovani) è possibile far seguire alla tenotomia la riparazione del tendine (tenodesi), così da evitare anche l’unica complicanza possibile della procedura, ovvero la formazione di una tumefazione sul braccio (segno di Popeye) data dalla discesa del ventre muscolare.
Tutte le opzioni chirurgiche riportate sono eseguibili in artroscopia, garantendo vantaggi quali una migliore estetica, una visione migliore di lesioni particolari, minor dolore postoperatorio, minori perdite di sangue, e un recupero più veloce.
Quale che sia la scelta terapeutica adottata, la fase riabilitativa post trattamento risulta fondamentale e necessità di una dedizione assoluta da parte del paziente, pena il fallimento della riparazione e la ripresa dei sintomi. Generalmente il tempo che intercorre tra la chirurgia e la guarigione completa è di circa 5 mesi. Il periodo iniziale, il più delicato e cauto, dura circa 1 mese e richiede l’adozione pressochè costante di un tutore in abduzione a 15°. A seguire, in base alle fasi previste dal protocollo specifico per il paziente e alle indicazioni del chirurgo, si susseguiranno esercizi di ginnastica passiva, poi attiva (entrambi sia a secco che in acqua), esercizi per il recupero delle forze, ed eventuali farmaci. La ripresa della guida avviene, invece, intorno al 60° giorno. Al termine della riabilitazione ci si può aspettare una spalla non dolorosa, che si muove in maniera completa, e che permette una ripresa più che accettabile delle attività lavorative e ricreazionali. Tuttavia, come si può ben immaginare, riparare tendini di scarsa qualità, o in pazienti più anziani o che non collaborano, o lesioni definite massive, porterà a risultati inferiori.
La chirurgia della cuffia dei rotatori, per quanto oramai poco invasiva, può presentare alcune complicanze. Vanno ricordate le infezioni (la cui presentazione è ridotta dall’uso di antibiotici prima dell’intervento), la rigidità (per la quale andrà corretto il programma riabilitativo in atto), lesioni del nervo circonflesso (evento rarissimo).
Esiste, in ultimo, la possibilità che il tendine riparato si rompa di nuovo, o che si sviluppi una nuova lesione simile sulla stessa spalla. La nuova rottura (recidiva o rirottura) può dipendere dalla scarsa qualità del tendine che si è riparato, da una riabilitazione eseguita male che ha permetto lo sviluppo di forze eccessive sulle suture quando il tendine non era ancora guarito, o da una riparazione in cui la sutura è stata eseguita con una tensione eccessiva. Tendini di scarsa qualità, un maggiore infarcimento grasso, un muscolo molto ridotto di volume, sono fattori che aumentano il rischio di una nuova rottura. È da sottolineare, tuttavia, che le rirotture di solito non causano dolore e la limitazione della funzione è poco disabilitante, quindi richiederanno un nuovo intervento solo in casi selezionati.