introduzione

La rottura, o lesione, della cuffia dei rotatori è una patologia subdola che nei casi sintomatici può manifestarsi con dolore importante e un grado elevato di disabilità. In questo articolo ci si focalizzerà sull’intervento chirurgico, ed in particolare sui risultati a distanza di molti anni, entrando nei dettagli di una mia partecipazione ad un congresso nazionale cui sono stato invitato come esperto del settore dal presidente e organizzatore, dottor Roberto Castricini.

Intervento di riparazione, o sutura e reinserzione, della cuffia dei rotatori: come funziona

Esistono numerose tecniche per riparare (che significa suturare e reinserire sull’osso) un tendine della cuffia dei rotatori che si è rotto. In linea di principio si eseguono sempre i seguenti passaggi chirurgici:

  • Si rimuovono le aree di più franca infiammazione e si valuta il tendine del capo lungo del bicipite. Questo, che dagli albori del trattamento chirurgico della spalla veniva sempre sezionato perché non necessario per il movimento e per la forza del braccio, e perché prima fonte di dolore non specifico in quasi tutte le patologie dell’articolazione, oggi viene più accuratamente studiato e trattato. Se si dimostra molto degenerato, con fibrille, o con una rottura, viene ancora sezionato senza ripararlo. Se, invece, si presenta instabile a causa della lesione tendinea (di solito del sovraspinoso, per rottura della “pulley” che è quella struttura che tiene il bicipite fermo in sede) allora viene prima sezionato e poi riparato sfruttando i punti che verranno dati sul tendine della cuffia dei rotatori (cosiddetta “tenodesi soft tissue del CLBB”). Infine, se si presenta sano e stabile verrà lasciato in sede.
  • Si rimuovono le aderenze e le zone cicatriziali della cuffia dei rotatori, al fine di mobilizzare meglio il tendine rotto e permettergli di arrivare nella sede ossea in cui dovrà essere reinserito. Questo è un passaggio delicato in cui viene cautamente valutata anche la tensione del tendine nel momento in cui si simula la riparazione, perché se risultasse eccessiva sarebbe destinata al fallimento anche nel caso in cui si riuscisse a stabilizzarlo sull’osso.
  • Si rimuove la porzione marginale della lesione tendinea, quella zona di tendine marcatamente degenerata e “sfilacciata” oramai disinserita dall’osso. Questo serve a “rinfrescare” la lesione, a farla sanguinare, così da poter ottenere una maggiore probabilità di aderire nuovamente sull’osso.
  • Si “cruenta” l’osso, nella porzione che accoglierà nuovamente il tendine da riparare. Anche questo gesto serve a favorire il sanguinamento osseo, ricco di fattori di crescita e cellule staminali, per migliorare la qualità e l’efficacia della riparazione del tendine.
  • Nella zona ossea della testa dell’omero, nel punto esatto in cui il tendine era normalmente inserito, si infigge un dispositivo di stabilizzazione chiamato “ancora” o “ancoretta”. Da questa emergono dei fili di sutura ad altissima resistenza, che verranno fatti passare entro il tendine, e che una volta annodati lo manterranno nella nuova sede così che si possa innescare un processo di guarigione tra tendine e osso. Questi dispositivi possono essere di diversi materiali, dal metallo (titanio) alla sola sutura (le cosiddette “soft-anchors”), tutti completamente inerti e compatibili con il corpo umano, senza possibilità di rigetto, di interferenza nella riparazione, e non è necessario rimuoverle in futuro. Come tutti i dispositivi, però, possono fallire o mobilizzarsi. È tuttavia fondamentale che resistano in sede almeno per quel tempo minimo necessario al corpo umano per ottenere una prima stabilità della cicatrice tra tendine e osso, ovvero 3 settimane.
  • Si ripristina lo spazio extrarticolare, che nei casi di lunga durata viene ridotta per la formazione di speroni sull’osso chiamato “acromion”. Questi vengono rimossi con una fresa, ricreando l’anatomia originale della spalla e al contempo proteggendo la riparazione.

Quali sono i risultati dell’intervento per la cuffia dei rotatori

Dopo l’intervento e dopo la riabilitazione necessaria, la riparazione della cuffia dei rotatori dimostra ottimi risultati. Scompare il dolore, ritorna il movimento, e si recupera completamente la forza. Al netto delle complicante immediate (le più gravi sono la non guarigione, che richiede un nuovo intervento, e la rigidità post operatoria, che prolunga notevolmente la riabilitazione), la spalla malata e dolorosa ritorna alla normalità e si raggiunge la ripresa totale di tutte le attività che si praticavano in precedenza. Il tempo medio per dichiarare la guarigione completa è di circa 4 mesi.

Rottura della cuffia dei rotatori: intervento o fisioterapia?

Il sentito dire comune è che con la sola fisioterapia si può ottenere la “guarigione della cuffia dei rotatori”. Questo non è assolutamente vero, o quantomeno, necessità di alcuni chiarimenti importanti.

Innanzitutto l’approccio fisioterapico deve essere corretto. La salute della spalla è governata dalla sua biomeccanica, e questa si fonda sull’azione sincrona e sinergica di almeno 20 unità muscolo-tendinee. L’efficacia di un trattamento non chirurgico per una rottura di un tendine della cuffia dei rotatori passa esclusivamente dal riequilibrio di tutte le forze muscolari, ed in particolar modo di quelle operanti sulla scapola. Di conseguenza, saranno solamente brevi e transitori i benefici dati da approcci basati sul solo sintomo e sull’applicazione di strumenti elettromedicali come laser, tecar, ultrasuoni, eccetera. Allo stesso modo saranno poco utili sedute riabilitative quotidiane, che in alcuni casi potranno addirittura rivelarsi deleterie e cause di nuove infiammazioni. Sarà efficace, invece, un trattamento che si baserà su mobilizzazioni attive e passive e, soprattutto, sull’esercizio terapeutico: l’insieme di attività di ginnastica riabilitativa e di ginnastica propriocettiva che il fisioterapista organizzerà in funzione della sua valutazione della specifica condizione di danno.

Anche quando eseguita al meglio, però, la fisioterapia non potrà essere risolutiva. Il paziente starà sicuramente molto meglio per quanto riguarda il dolore e riuscirà a recuperare molte delle funzioni perse, ma non sarà “guarito”. L’unità tendine-muscolo-tendine deve essere considerata come una molla tesa tra due estremi, dove il muscolo rappresenta il corpo della molla e i tendini rappresentano i vincoli che tengono la molla in tensione. La rottura della cuffia dei rotatori rappresenta liberare la molla da un vincolo… l’unico evento possibile è che la molla, prima in tensione, una volta svincolata si accorci. E allo stesso modo, se un tendine della cuffia dei rotatori presenta una lesione, una rottura, questa sarà sottoposta all’azione muscolare costante il cui unico effetto sarà quello di causare l’accorciamento del tendine stesso, la sua retrazione. La retrazione, a sua volta, porterà la lesione ad estendersi dal coinvolgimento di un tendine solo a più tendini, e renderà la spalla non più funzionale fino a quadri di “pseudoparalisi”.

La fisioterapia è quindi indicata sempre, per recuperare o quantomeno mantenere la funzione della spalla danneggiata, ma non può intendersi come un trattamento definitivo perché si condanna l’articolazione all’evoluzione verso uno squilibrio meccanico che porterà artrosi e che richiederà interventi di chirurgia maggiore. Definitivo è invece l’intervento chirurgico, soprattutto quando eseguito precocemente, perché garantirà il ripristino dell’anatomia e della biomeccanica articolare, e ne preserverà la funzione.

Risultati dopo 10 anni dell’intervento per la cuffia dei rotatori

Una spalla operata di riparazione della cuffia dei rotatori si comporta molto bene anche a distanza di 10 anni, e molti studi scientifici lo confermano. Le valutazioni, sia cliniche che radiologiche, delle cuffie operate dimostrano risultati clinici buoni o eccellenti, nonostante l’integrità del tendine sia ancora confermata solo nel 53,5% dei casi. Questo aspetto, che si associa ai risultati migliori, dipende dalla gravità della lesione iniziale. Le lesioni più piccole manterranno risultati ottimali anche dopo molti anni, mentre le lesioni più gravi avranno risultati peggiori e con un tasso di rirottura di circa 2 volte superiore. Per quanto riguarda la forza, il recupero “completo” è a 6 mesi circa per le lesioni piccole, 18 mesi massimo per le lesioni più grandi, e “non completo” per le lesioni massive, tuttavia va sottolineato che la ripercussione clinica, funzionale, è minima e non rilevante. In ogni caso vi è, però, un importante effetto protettivo per quanto riguarda lo sviluppo di artrosi da lesione di cuffia. Va ancora evidenziato, peraltro, che lo sviluppo di artrosi dopo riparazione della cuffia dei rotatori, a distanza di 10 anni dall’intervento, è significativo solo considerando il passaggio da un grado 0 ad un grado 1 di artrosi secondo le classificazioni Samuelson-Prieto e Sugaya. È decisamente molto meno rilevante per i gradi maggiori.

Risultati dopo 15 anni dalla riparazione della cuffia dei rotatori

Anche prendendo in considerazione casistiche con valutazioni più a lungo termine, come i risultati ad almeno 15 anni dall’intervento, gli studi scientifici dimostrano risultati sovrapponibili: i punteggi ottenuti con le principali schede di valutazione della funzione della spalla appaiono sia migliorati nel tempo, sia conservati i 5 e gli oltre 15 anni di distanza, nonostante un oggettivo peggioramento dell’apparenza della riparazione agli esami radiologici. Il tasso di rirottura sulla lunga distanza, con incidenza anche del 35%, si presenta associato solamente con la gravità del quadro iniziale.

Rottura traumatica della cuffia dei rotatori: risultati

Considerando una casistica più ristretta, rappresentata dalle lesioni puramente traumatiche, la letteratura scientifica si presenta ancora univoca. C’è da dire che si tratta di popolazioni di pazienti più giovani ed attive, ma comunque l’intervento chirurgico per una rottura traumatica di un tendine della cuffia dei rotatori consente un pieno recupero di movimento e forza, nonché di attività anche pesanti come il servizio militare. Uno degli aspetti più dibattuti per le lesioni a origine traumatica è dato dalla tempistica di intervento. Gli studi dimostrano che non si sviluppano differenze statisticamente significative purchè l’intervento sia eseguito entro i 6-12 mesi, massimo, dall’evento traumatico.

Rottura massiva della cuffia dei rotatori: risultati

Le rotture massive sono tendenzialmente un capitolo a parte. Rappresentano un caso estremo di rottura della cuffia dei rotatori, e molto spesso non sono riparabili. Il termine “massiva” indica una rottura che interessa più di un tendine o che abbia un’ampia estensione antero-posteriore, o che abbia una marcata retrazione. Molto spesso sono lesioni non riparabili che necessitano di chirurgia maggiora (riparazione funzionale, oppure transfer del gran dorsale, oppure protesi inversa di spalla), ma in alcuni casi sono riparabili in maniera anatomica. Quando quest’ultima evenienza è possibile, i risultati a distanza anche di 20 anni sono molto favorevoli, eccellenti nel 55% dei casi. La necessità di nuovo intervento è stabile sul 10%, e solo il 2,4% dei pazienti andrà incontro ad un peggioramento tale da richiedere l’impianto di una protesi inversa.

Operare una lesione parziale della cuffia dei rotatori: risultati

Le lesioni parziali rappresentano l’estremo opposto rispetto alle rotture massive, e vengono operate solo nei casi in cui nessun altro trattamento abbia portato benefici sufficienti a ridare al paziente un benessere completo. Com’è facile ipotizzare, se necessario l’intervento offre risultati clinici eccezionali che si mantengono fino ai 12 anni dalla chirurgia, ed è alto anche il tasso di ritorno allo sport e alle attività pesanti, mentre è minimo il tasso di fallimento

Intervento per la calcificazione dei tendini della spalla: risultati

Anche le lesioni da tendinopatia calcifica della spalla, seppur molto molto raramente, possono essere soggette ad intervento chirurgico. La letteratura scientifica, per questi casi, dimostra una necessità chirurgica quando non vi sia beneficio con nessun altro trattamento, e suggerisce, oltre alla ovvia rimozione della calcificazione, anche l’associazione con la riparazione del tendine. In questo modo si ottengono i risultati migliori in assoluto, sia in termini di soddisfazione del paziente, che per quanto riguarda gli esami radiologici e i punteggi oggettivi. La risoluzione completa si attesta all’85% dei casi, tuttavia è maggiore il rischio di rigidità (18%). È importante sottolineare la grande differenza rispetto ad una riparazione standard della cuffia dei rotatori: se i risultati a distanza post operatori sono sovrapponibili a prescindere dalla presenza di una calcificazione, nell’immediato (i primi 12 mesi massimo) si avverte un maggior discomfort e un maggior dolore quando sia presente una calcificazione.

Risultati della riparazione del tendine sottoscapolare

Menzione a parte merita la riparazione chirurgica della lesione del tendine del sottoscapolare, il più importante rotatore interno della spalla, e il tendine che più velocemente va incontro a retrazione. La casistica pubblicata più ampia e con risultati a più lunga distanza riporta risultati che nel 94,2% dei casi si sovrappongono a quelli della popolazione sana, anche a 9 anni di distanza, indicandone la necessità chirurgica in maniera quasi perentoria.

Qual è l’intervento migliore per riparare un tendine rotto della cuffia dei rotatori?

Come già accennato, esistono numerosissime tecniche chirurgiche. Uno dei più importanti argomenti di discussione in letteratura scientifica riguarda se sia meglio eseguire l’intervento “a cielo aperto” o con tecnica mininvasiva “artroscopica”. Obiettivamente, una risposta forte ancora non c’è. In un modo o nell’altro, l’unica cosa che conta è ripristinare l’integrità tendinea riparando la cuffia dei rotatori. I risultati sono sovrapponibili tra le due tecniche, sia a 10 che a 20 anni post intervento. C’è da dire, però, che queste evidenze sono inficiate da alcune limitazioni. Innanzitutto, sulla lunga distanza vengono valutati esclusivamente gli esiti funzionali della riparazione: che movimento si ha, con che forza, e che attività quotidiane si riescono a compiere senza disagi. Ma su questi aspetti è scontato che non si rilevino differenze tra un approccio chirurgico e l’altro. Non si prende in considerazione, invece, che i vantaggi specifici dell’intervento mininvasivo sono immediati, e limitati al primo periodo post chirurgico:

  • Minore invasività, quindi minori danni iatrogeni e una riabilitazione meno dolorosa, più rapida, e meno complessa
  • Minore tempo chirurgico, quindi minore rischio “generale” e infettivo
  • Maggiore accuratezza diagnostica, potendo osservare direttamente e con ingrandimento ogni porzione dell’articolazione, dei tendini, dei legamenti, e delle strutture collegate, cosa che a cielo aperto non sarebbe fisicamente possibile. Ciò si traduce in un’efficacia terapeutica più completa e maggiormente preventiva
  • Anestesia solamente loco-regionale, a differenza della “generale” richiesta a cielo aperto

Alla luce di ciò sarebbe da considerare quantomeno “anacronistico” un approccio a cielo aperto, ed in effetti non è più praticato da nessun chirurgo che sia effettivamente un superspecialista, un esperto, in chirurgia della spalla. La tecnica artroscopica, mininvasiva, sfrutta piccolissime incisioni per l’inserimento di una telecamera e della strumentazione necessaria ed è sempre favorita, e si sta progressivamente adattando anche a procedure chirurgiche più complesse come la stabilizzazione secondo Latarjet (che il sottoscritto dr. Dei Giudici esegue appunto in artroscopia).

Intervento per la periartrite di spalla: la decompressione o “pulizia artroscopica”

La decompressione subacromiale è un gesto accessorio che originariamente si praticava come unico trattamento delle lesioni di cuffia. Volgarmente chiamato “pulizia della spalla”, questo gesto chirurgico era volto a risolvere la riduzione dello spazio subacromiale data dallo sperone osseo sull’acromion, che si riteneva la causa stessa della rottura di cuffia, nell’ambito di una fantomatica patologia denominata “periartrite”. Ad oggi è lampante che:

  • La periartrite della spalla non esista. Essendo chiare le diverse malattie che affliggono la spalla e la cuffia dei rotatori, ed essendone chiari i meccanismi di origine, non ha più alcun senso parlare ancora di periartrite. Se lo si fa si sottolinea la non conoscenza della patologia della spalla!
  • La decompressione subacromiale, come gesto isolato, ha dimostrato un’efficacia completamente sovrapponibile a quella ottenuta tramite una corretta fisioterapia, la stessa cui ci si dovrebbe sottoporre comunque dopo la procedura. Bisogna pertanto diffidare da chi la indichi come trattamento per un caso di lesione della cuffia dei rotatori, poiché dimostra una limitata conoscenza della patologia e dei trattamenti attuali ed efficaci, ed espone inutilmente il paziente a rischi chirurgici generici e imprevedibili, ipoteticamente anche gravi!
  • La decompressione va praticata solo ed esclusivamente a corredo di una reinserzione del tendine rotto, ripristinando l’anatomia e favorendo un sanguinamento in grado di migliorare la guarigione e ridurre i tassi di rirottura a distanza.

Cosa influenza la guarigione della cuffia dei rotatori riparata?

Decenni dopo l’intervento, molti fattori che si pensavano in grado di influenzare i risultati chirurgici, e soprattutto le numerose differenze in termini di tecnica di riparazione, si sono dimostrati ininfluenti. Solo determinate caratteristiche specifiche del paziente e della lesione hanno una reale ripercussione sui risultati ancora osservabili a distanza di molti anni. Hanno influenza negativa:

  • L’età. In termini assoluti, i risultati di un paziente di 70 anni saranno inferiori rispetto ad uno più giovane. Tuttavia, l’entità del miglioramento sarà uguale tra paziente anziano e paziente giovane. Ciò significa che, considerando la totalità dei possibili pazienti, a distanza di 20 anni i pazienti operati da giovani staranno ancora molto bene mentre i pazienti operati a 70 anni, pur migliorando allo stesso modo, manterranno un certo grado di discomfort e limitazione. Questo dipende dalle ripercussioni che l’invecchiamento ha già avuto sul tendine che si è rotto.
  • Salute generale, obesità, fumo, diabete. Tutte le condizioni preoperatorie che abbiano degli effetti diretti o indiretti sulla circolazione capillare (il microcircolo) sono in grado di ridurre l’efficacia dell’intervento. La circolazione sanguigna è lo strumento basilare attraverso cui il corpo si ripara, e ricordando come l’intervento serva a creare le condizioni affinchè un tendine possa guarire spontaneamente sull’osso facendolo sanguinare e reinserendolo, diventa chiaro il perché una cattiva circolazione possa aumentare le possibilità che il tendine non guarisca o si rirompa precocemente.
  • Dimensioni della lesione da riparare. Lesioni maggiori di 3 cm, o che coinvolgano due o più tendini, presentano un più elevato tasso di non guarigione e di rirottura. Questo aspetto è spiegato dal fatto che questi due fattori rappresentano una condizione inveterata di danno, una lesione che è presente da molto tempo e che ha potuto continuare a peggiorare, riducendo notevolmente le capacità di guarigione e la qualità del tendine residuo, aumentando lo stato di infiammazione cronica, e stabilizzando la gravità della retrazione del tendine stesso.

Complicanze dell’intervento alla spalla: cosa fare se la cuffia si rompe di nuovo

Anche nei casi di fallimento (recidiva) dell’intervento di riparazione della cuffia dei rotatori si potrebbe ipotizzare di sottoporre il paziente a nuova riparazione artroscopica di cuffia. Si tratta però di situazioni rare. Quando possibile, questo approccio ottiene comunque risultati soddisfacenti e che si mantengono negli anni, con un tasso di guarigione radiologica del 61%, che seppure nettamente inferiori ai casi di primo intervento consente una marcata riduzione del dolore e un valido recupero del movimento. Soprattutto, questo approccio consente di proteggere l’articolazione dal peggioramento futuro: si inibisce la l’infiltrazione di grasso nel muscolo e si arresta la progressione dell’artrosi, potendo scongiurare la necessità di interventi più invasivi. La maggior parte delle recidive, tuttavia, richiede interventi più complessi: reinserzione e applicazione di membrane di potenziamento biologico, riparazioni cosiddette funzionali, transfer del gran dorsale, e in ultimo impianto di una protesi inversa.

Riassumendo: ho un tendine della cuffia dei rotatori rotto, devo operarmi?

La risposta è si. Qualora un tendine della cuffia dei rotatori presentasse una lesione completa, un buco più o meno ampio, è fondamentale agire velocemente praticando un intervento di sutura e reinserzione all’osso. Ciò permette risultati eccellenti da subito, che si mantengono anche dopo moltissimi anni, non ottenibili con altri approcci (che si limiterebbero a poco tempo di beneficio), con più che soddisfacente recupero anche della forza, e con un fondamentale effetto protettivo rispetto all’artrosi che poi, per essere trattata in modo completo richiederebbe una protesi. Quindi agire precocemente ed efficacemente con un intervento mininvasivo che potrà molto probabilmente essere anche l’ultimo intervento eseguito su quella spalla malata.

La mia esperienza nella riparazione della cuffia dei rotatori

La mia esperienza riguardo la riparazione della cuffia dei rotatori inizia nel 2010 con la frequenza presso il reparto dedicato dell’ospedale “Marco Pasquali” I.C.O.T. di Latina (LT) in cui già da tempo si eseguivano trattamenti artroscopici mininvasivi. Ho frequentato numerosi congressi e corsi specialistici, anche su preparati anatomici, e affinato tanto le capacità diagnostiche che quelle chirurgiche affiancando colleghi più esperti. Con circa 300 interventi l’anno sulla sola articolazione della spalla, sono invitato a partecipare attivamente a corsi e a congressi superspecialistici con altri esperti nazionali del settore, portando la mia casistica ed esperienza al servizio della formazione altrui, convocato come docente e tutor per i cadaver lab delle principali società scientifiche ortopediche italiane e internazionali.

Sono autore di numerose pubblicazioni riguardanti la riparazione della cuffia dei rotatori su riviste scientifiche internazionali di settore, impattate e indicizzate su PubMed:

Bibliografia di riferimento

Questo articolo originale è stato redatto riassumendo l’esperienza del dott. Dei Giudici e la più recente bibliografia scientifica di riferimento. Di seguito i link per approfondire le fonti di questa pagina:

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  • Evaluating The Effect of Arthroscopic Rotator Cuff Repair with Concomitant Subacromial Decompression on 2, 4, and 6 Year Reoperation Rates. Haft M, Pearson ZC, Ahiarakwe U, Nelson SY, Srikumaran U. J Am Acad Orthop Surg. 2024 Aug 1;32(15):697-704. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/38657174/
  • Revision rotator cuff repair: can a Sugaya III tendon considered to be healed or not. Werthel JD, Godenèche A, Antoni M, Valenti P, Chelli M, Nové-Josserand L, Bonnevialle N. J Shoulder Elbow Surg. 2024 Feb;33(2):255-262. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/37506999/
  • Clinical and radiological outcomes of osteoarthritis twenty years after rotator cuff repair. Herve A, Thomazeau H, Favard L, Colmar M, Mansat P, Walch G, Betz M, Kempf JF, Collin P. Orthop Traumatol Surg Res. 2019 Sep;105(5):813-818. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/31204180/

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